E’ domenica pomeriggio e poco fa ero sul terrazzino di casa fissando il corto orizzonte che delimita il quartiere e pensavo a cosa questo mi ispirava, ascoltando il silenzio assordante e surreale di una zona normalmente viva e mediamente rumorosa.
Ora si sentono solo 4 rumori: l’abbaiare dei cani, incluso il mio, vicini o su fino alla collina alle mie spalle; il gracidio delle cornacchie, che già normalmente mettono i brividi, ma ora sembrano un messaggio di morte; le sirene delle ambulanze che arrivano ad ondate in piccoli gruppi; il rombo dell’elicottero dell’Elisoccorso, diretto verso le Valli o verso il grande ospedale. Tra questi rumori ci sono lunghe pause di inimmaginabile silenzio.
Non più un martello pneumatico in qualche cantiere, non più un tosaerba che aggiusta un giardino, non più una macchina che passa sulla vicina provinciale e, soprattutto, non più una voce umana.
Dopo giorni e giorni di prigionia in casa, oltre l’angoscia inizia a sentirsi la noia e l’insofferenza verso questo inusuale modello di vita che ci viene imposto dal maledetto grumo di molecole insane.
E mi rendo conto che queste sensazioni sono sbagliate ed egoistiche.
Io sono uno dei tanti, veramenti tanti, fortunati che stanno bene e che non hanno parenti, amici o solo conoscenti contagiati o peggio.
Allora, con un reale senso di colpa penso agli sfortunati rilegati, se va bene, in qualche stanzetta asettica, senza un volto amico a fianco del letto; penso a chi sta combattendo allo stremo per aiutare o solo alleviare le sofferenze dei malati: un esercito meraviglioso di medici, infermiere, barellieri, personale di ambulanze e tanti altri.
Non posso sapere le loro reali condizioni fisiche e psicologiche, posso solo immaginarle, e mi sento un verme.
Penso alle migliaia di famiglie che hanno un congiunto malato in casa, senza sapere se è ‘quello’ oppure una banale infleunza, in attesa di sapere se dovrà o potrà essere ospedalizzato: dove? quando? come? potrò rivederlo? tornerà?
E qui, nemmeno un verme potrebbe sentirsi peggio.
E se poi il congiunto è deceduto nel letto di casa? Oltre al dolore immenso si aggiunge l’aspetto pratico del ‘cosa facciamo adesso’? Chi chiamo? Dove e come porteranno via il corpo?
Domani è lunedì e realizzo che questa parola non ha più un gran significato.
Il giorno odiato da studenti e da tanti lavoratori è ora un giorno qualsiasi come gli altri, come il venerdì o come il fine settimana; tutti uguali e senza una visione sul futuro.